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“La solitudine può essere una tremenda condanna o una meravigliosa conquista. (Bernardo Bertolucci).”

L’articolo di oggi parla di una condizione nella quale mi trovo nel 90% dei miei allenamenti, ovvero l’allenamento in solitaria.
Ho la fortuna di fare un lavoro che mi permette di gestire il tempo come meglio credo, specialmente nella prima parte della giornata. Questa mia fortuna però si scontra con la realtà lavorativa della maggior parte dei miei amici e compagni di sport. Di conseguenza, dal lunedì al venerdì (e spesso anche il sabato) mi ritrovo a dovermi allenare da solo.

Devo dire che la solitudine sportiva è una condizione che non mi dispiace, perchè posso gestire il mio tempo, posso organizzarmi come meglio credo e non ho obblighi nei confronti di nessuno. Di contro, mi mette di fronte ad una serie di situazioni, che con l’andare del tempo diventano complicate da gestire.

La prima che mi viene in mente è la motivazione.

Purtroppo la motivazione non è qualcosa che si inocula o si somministra, ma nasce da dentro. Molto spesso, nella mia esperienza da mental coach, mi viene chiesto di “motivare”. Questa richiesta, la trovo molto dissonante e lontano dal concetto reale di motivazione. La motivazione si può allenare, si può imparare, ma non si può inserire nelle persone. La si alimenta attraverso obiettivi chiari, raggiungibili ma sfidanti e soprattutto cercando di uscire dalla comfort zone.
Un piccolo trucco che uso per motivarmi e pensare a qualche ricompensa che potrei meritarmi alla fine di un duro periodo di allenamento in cui non ero particolarmente motivato. In questo periodo, per esempio, è l’idea di una nuova bici da cronometro.

La seconda situazione che mi viene in mente, è il cercare di uscire dalla mia zona di comfort.

La comfort zone è pace e quiete. La discomfort zone è eccitazione. La discomfort zone è qualcosa che tiene alto il livello della motivazione perchè implica la sfida con se stessi. E’ generazione di dopamina. Mettermi alla prova, in situazioni allenanti per me complicate (come ad esempio allenamenti di HIIT in corsa o lavori di forza in bici) mi stimola molto di più che entrare in vasca, dove molto di quello che faccio, mi esce facile e senza apparente fatica.

Un terzo aspetto sono i feedback.

Quest’anno, per allenare l’auto-motivazione e mettermi in una situazione di difficoltà-sfidante, ho deciso di non affidarmi a nessun allenatore. La preparazione per il mio obiettivo stagionale (Ironman 70.3) ho deciso di cucirmela addosso da me. L’esperienza non mi manca, so come funziona fisiologicamente il corpo umano e cosa più interessante, ho la possibilità di ascoltarmi quotidianamente.
La cosa che più mi manca però, in questa situazione, è il ricevere dei feedback costanti da qualcuno esterno. Così ho iniziato a tenere un vero e proprio “diario di bordo”, nel quale appunto allenamenti, durata, intensità e commenti sull’andamento dell’allenamento, assegnandomi un voto e valutando, day by day, come reagisce il mio fisico al carico a cui lo sto sottoponendo.

Non ho idea di come andrà a finire questa mia sfida, ma mi piacerebbe sapere come ognuno di voi affronta i propri allenamenti in solitaria, anche perchè immagino che come me, la stragrande maggioranza degli atleti “non professionisti”, affronti la propria settimana sportiva quasi sempre da solo.
Questa è la mia sfida, qual’è la tua?

Luca Borreca

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