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“Le parole sono finestre (oppure muri).”

E’ da qualche tempo, che noto questa sempre più diffusa tendenza dei bambini. L’urlo compulsivo. E non parlo dei neonati, che urlano perché non potendo comunicare a parole, possono solo affidare al pianto e alle urla tutto il loro stato emotivo, per richiedere agli adulti dei segnali di attenzione.
Mi riferisco invece ai bambini più grandi, dai 3 ai 6 anni. Urlano ovunque. Urlano se vogliono qualcosa, urlano per attirare l’attenzione, urlano tra di loro, urlano per parlarti. E quando non urlano, emettono versi.
Allora decido di saperne di più. Leggo e mi informo. Così scopro che tra i 3 e i 6 anni i bambini dovrebbero possedere certe caratteristiche comuni. Per esempio, a livello motorio dovrebbero saper saltare o afferrare una palla e a livello cognitivo/relazionale dovrebbero essere curiosi, avere inventiva e socializzare. Io li osservo i bambini. Ci lavoro coi bambini. Ma quello che noto è che nella maggior parte di questi bambini manca quello che dovrebbe esserci. Quello che osservo, invece, è un inaridimento della parola, del dialogo, del saper comunicare. E allora ho pensato che questa loro tendenza all’urlo, al continuo urlare in qualsiasi situazione, sia questa una situazione di euforia o di normalità, possa derivare da un processo di regressione.
I bambini, improvvisamente, sembrano essersi trasformati in piccole scimmie urlatrici. Attenzione, non sto dicendo che i bambini siano tutti delle scimmie. Sto semplicemente osservando che molti bambini stanno perdendo il contatto con la parola, con il saper comunicare tra di loro, tra simili. E senza comunicazione, senza iterazione, non può esserci crescita e sviluppo.

Quindi mi sono chiesto: quale potrebbe essere la causa di questo inaridimento del linguaggio? Ho individuato 3 possibili cause.

1. Il NON ascolto. Oramai viviamo in un mondo al contrario. Si riempiono i bambini di cose inutili, li si viziano fino all’inverosimile, ma non si è più in grado di dar loro l’unica vera cosa di cui avrebbero bisogno: l’ascolto attivo. Quell’ascolto che li faccia sentire amati e capiti.

2. Il NON parlare. Spesso si pensa che i bambini siano creature con un livello cognitivo inferiore, invece sono semplicemente degli adulti in divenire. Per cui non continuiamo a trattarli come “animali”, esprimendoci nei loro confronti attraverso versi, mugugni o parole inventate. Diamo loro modo di imparare. Chiamiamo gli oggetti con il loro nome, rispondiamo alle loro domande con spiegazioni semplici ma concrete e stimoliamo la loro fantasia.

3. Il NON socializzare. Negli ultimi anni abbiamo assunto tutti delle tate tecnologiche. Sono i video di qualsiasi cartone esistente su Youtube o i videogiochi portatili. Quando io ero bambino (e non sono passati molti anni), i miei genitori mi concedevano un’ora al giorno davanti ai videogiochi durante il weekend. I miei pomeriggi li passavo in giardino a giocare, a sporcarmi, a sudare e a socializzare. Oggi tutto questo succede rarissime volte. Quando i bambini non stanno fermi, gli si mette in mano un cellulare. Quando continuano a rognare, si accende un canale coi cartoni animati e il problema è bello che risolto.

Il mio non vuole essere un atto di accusa, ma semplicemente uno spunto di riflessione. Che quell’urlo che tanto mi infastidisce quando lo sento, sia semplicemente una richiesta di aiuto?

Non ho la risposta. Ma quello che so è che il bambino non ascoltato, si abituerà a non ascoltare gli altri bambini. Non creerà empatia e rischierà di essere isolato, con tutte le conseguenze del caso. Ecco, forse il bambino che urla sta semplicemente cercando di rompere quel muro di non interesse che percepisce attorno a sé.

Imparare ad ascoltare questo urlo, potrebbe essere un primo passo verso una crescita più sana e consapevole dei nostri bambini.
Non dimentichiamolo!

Luca Borreca

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